Per non dimenticare …
All’alba del 27 gennaio 1945 i primi soldati dell’Armata Rossa che posero gli occhi su quel reticolato di ferro spinato che avvolgeva innumerevoli baracche di legno, non potevano ancora comprendere che stavano scoperchiando un crimine, le cui atrocità ha macchiato in modo indelebile la storia dell’umanità .
Auschwitz non era che uno, anche se il più grande, dei campi di concentramento che il regime nazista aveva disseminato per l’Europa per portare a termine la soluzione finale, lo sterminio del popolo ebraico.
Il germe velenoso della dissoluzione degli ebrei era già contenuto nel Mein Kampf scritto da Hitler nel 1924 in carcere, dopo il fallito tentativo di colpo di stato a Monaco.
Ma la politica razziale nazista si evolse progressivamente dal 1933 quando nel partito nazionalsocialista divenne sempre più radicale l’avversione per le minoranze tedesche, in special modo contro gli ebrei.
La base del pensiero hitleriano era l’idea di una società divisa in due categorie: la comunità popolare che doveva costituire la struttura sociale della Germania e gli stranieri della comunità , che comprendeva gli stranieri, gli individui di origine ebraica, gli indigenti, i “lavativi”, i portatori di handicap fisici o mentali.
Nel 1935 la persecuzione contro gli ebrei subì un’accelerazione con la promulgazione della Leggi di Norimberga. Esse sono scritte per “la protezione e l’onore dei tedeschi”; proibiscono i matrimoni e ogni rapporto sessuale tra persone ebree e persone non ebree poiché avrebbero generato impurità . Gli ebrei sono privati della cittadinanza e diventano sudditi di rango inferiore. Si definisce il concetto di persona subumana.
Nel novembre del 1938 si consuma la famigerata “notte dei cristalli”. Tra il 9 e il 10 novembre si scatena un terribile pogrom in tutta la Germania. Si camuffa da manifestazione popolare spontanea un’azione pianificata a tavolino da Goebbels. Sono saccheggiati negozi, bruciate sinagoghe, migliaia di ebrei sono internati e centinaia uccisi.
Nel 1941, dopo l’invasione sovietica da parte dei nazisti, le SS insieme con unità speciali di polizia, cominciano ad attuare operazioni di eliminazione di massa di intere comunità ebraiche.
Le prime camere a gas erano mobili, montate su speciali autocarri, all’interno dei quali è immesso il monossido di carbonio dello scarico della combustione.
Il 20 giugno 1942 si celebra la Conferenza di Wannsee (località poco fuori Berlino). Una riunione di lavoro di quindici gerarchi del regime nazista  “professionisti” della morte per mettere a punto i dettagli organizzativi della “soluzione finale”. In pratica i nazisti mettono in moto la macchina infernale dello sterminio.
Il primo grande centro di eliminazione mediante camere a gas è allestito a Belžec in Galizia.
Nei mesi successivi entrano in funzione i campi di Sobibór e Treblinka. Questi centri utilizzano la tecnica delle camere a gas alimentate dall’ossido di carbonio emesso da motori a nafta.
Ma il campo tecnologicamente più raffinato, quindi più micidiale, è quello di Auschwitz località situato a 50 km da Cracovia.
Di Auschwitz si parla generalmente di un unico campo di concentramento, ma in realtà si tratta di un complesso che copre una superficie di 40 km quadrati, contenenti tre lager distinti: Auschwitz 1, Birkenau e Monowitz.
I deportati, a conclusione di lunghi e massacranti viaggi, giungevano nel lager. All’arrivo del treno sovente sulle banchine dello stesso scalo, era eseguita una prima selezione. Da una parte gli uomini, dall’altra donne e bambini. Una separazione rapida che non lasciava il tempo neanche per un ultimo saluto. I deportati poi si presentavano davanti ai medici che con un semplice gesto della mano dividevano le persone in base all’aspetto fisico. Gli abili al lavoro verso le baracche, le inferme, le mamme con i bambini, le donne incinte, gli anziani verso le camere a gas.
Per capire come funzionavano le camere a gas riportiamo letteralmente un rapporto stilato nel 1944 da due giovani ebrei slovacchi evasi dal campo di Birkenau. Dalla stanza di preparazione una porta e alcuni gradini conducono alla camera a gas, stretta e molto lunga, situata al livello leggermente inferiore. Le pareti di questa camera sono nascoste da tende che danno l’illusione di un’immensa stanza da bagno. Nel tetto, piatto, si aprono tre finestre, che possono essere chiuse ermeticamente dal di fuori. L’ambiente è attraversato da rotaie che conducono alla camera dei forni.
Così si svolgevano “le operazioni”. I disgraziati sono condotti nella stanza di preparazione , e si dice loro che devono fare un bagno e spogliarsi in questo locale, per convincerli che faranno davvero il bagno, due uomini vestiti di bianco consegnano un asciugamano e un pezzo di sapone. Poi vengono spinti nella camera a gas. Possono entrarci duemila persone, ma ciascuno non dispone strettamente che dello spazio per restare in piedi. Per riuscire a far entrare quella massa nel locale, si sparano ripetutamente colpi di arma da fuoco per obbligare le persone che sono già dentro a stringersi. Quando tutti sono all’interno si chiude con il catenaccio la pesante porta. Si aspettano alcuni minuti, probabilmente perché la temperatura della camera possa raggiungere un certo grado, poi alcune SS munite di maschere antigas, salgono sul tetto, aprono le finestre e lanciano all’interno il contenuto di alcune scatole di latta: un preparato sotto forma di polvere. Le scatole portano la scritta “Zyklon” (insetticida); sono fabbricate ad Amburgo. Si tratta probabilmente di un composto di cianuro che diventa gassoso a una data temperatura. In tre minuti tutti gli occupanti del locale sono morti. Finora non è mai stato travato all’apertura della camera a gas, un solo corpo che desse un segno qualunque di vita [...]. La camera quindi viene aperta, areata, e il “Sonderkommando” comincia a trasportare i cadaveri su vagoncini piatti verso i forni crematori dove vengono bruciati.(Cfr. Bruno Segre, La Shoah, il Saggiatore, Milano 1998)
La Shoah non è soltanto campi di sterminio, camere a gas, forni crematori, ma anche qualcosa di più sottile e terribile: umiliazione, derisione, tormento, disumanità .
Primo Levi, nell’opera “I sommersi e i salvati” descrive la condizione dei deportati. All’inizio della sequenza del ricordo sta il treno che ha segnato la partenza verso l’ignoto.
La nudità del vagone era totale. Le autorità tedesche non provvedevano letteralmente a nulla: né viveri, né acqua, né stuoie o paglia sul pavimento di legno, né recipienti per i bisogni corporali. Qualche volta il convoglio veniva fermato in qualche stazione e venivano aperte le porte dei vagoni. Ai prigionieri era concesso di scendere per i bisogni impellenti ma di rimanere nei pressi dei binari. Le SS della scorta non nascondevano il loro divertimento nel vedere uomini e donne accovacciarsi come potevano, ed i passeggeri tedeschi esprimevano apertamente il loro disgusto: “gente come questa merita il suo destino, basta vedere come si comporta, non sono esseri umani ma bestie, porci”.
Ma come afferma Levi tutto ciò era solo il prologo.
Nella vita che doveva seguire, nel ritmo quotidiano del lager, l’offesa al pudore rappresentava una parte importante nella sofferenza globale. Non era facile, né indolore abituarsi all’enorme latrina collettiva, i tempi stretti ed obbligati alla presenza davanti a te dell’aspirante alla successione. Tuttavia, entro poche settimane, il disagio si attenuava fino a sparire; sopravveniva (non per tutti) l’assuefazione, il che è un modo caritatevole di affermare che la trasformazione da esseri umani ad animali era sulla buona strada. Probabilmente questa trasformazione da esseri umani ad animali non è stata mai progettata, mai formalmente dichiarata. Era una conseguenza logica del sistema. Un regime disumano diffonde ed estende la sua disumanità in tutte le direzioni, anche e specialmente verso il basso.
Le donne di Birkenau raccontano che, una volta conquistata la gamella (grossa scodella di lamiera smaltata), se ne dovevano servire per tre usi distinti: per riscuotere la zuppa quotidiana, per evacuare la notte, per lavarsi quando c’era l’acqua ai lavatoi.
Levi si pone la domanda: se gli ebrei dovevano morire, perché i nazisti non hanno ucciso le loro vittime dove si trovavano, cosa sicuramente più economica, anziché affannarsi a trascinarli con i loro treni per portarli a morire lontano dopo un viaggio insensato?
Veramente si è indotti a pensare che la scelta imposta dall’altro fosse quella che comportava la massima afflizione, il massimo spreco di sofferenze fisiche e morali. Il nemico non soltanto doveva morire, ma morire nel tormento.( Cfr P.Levi, I sommersi ed i dannati , Einaudi, Torino 1986.)
E doveroso ricordare che nella macelleria dei lager sono morti, oltre agli ebrei 500.000 zingari, 200.000 disabili, 10.000 omosessuali, 5.000 Testimoni di Geova e oltre un milione di dissidenti politici.
Con Vittorio Foa possiamo dire: perché dobbiamo ricordare? E che cosa bisogna ricordare?
Bisogna ricordare il Male nelle sue estreme efferatezze e conoscerlo bene anche quando si presenta in forme apparentemente innocue: quando si pensa che uno straniero, o un diverso da noi, è un Nemico si pongono le premesse di una catena al cui termine, scrive Levi, c’e’ il Lager, il campo di sterminio.
Veramente come afferma Giovanni Paolo II davanti alla tragedia della Shoah, a nessuno è lecito passare oltre.
La Shoah è presente nella storia dell’uomo come perenne ammonimento.
Ogni volta che si violenta la dignità dell’uomo, di qualsiasi colore, sesso o razza, si sente l’ombra di Auschwitz che fa capolino.
Concludiamo con una significativa scritta tracciata su un muro di Auschwitz: Non bisogna chiudere gli occhi davanti agli errori della storia, perché chi non conosce la storia è destinato a riviverla .
27 gennaio 2010Â Giorno della memoria
Graziano Esposito
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